Qualcosa non torna nella vicenda del post razzista di cui tanto si è parlato ieri. Il personaggio non è nuovo a queste piazzate, che gli hanno fruttato il consenso grazie al quale siede in consiglio comunale. Per vedere una reazione degna da parte della popolazione valdostana (e di una stampa generalmente silente su questi temi) c'è voluto un ingrediente nuovo: la "gaffe". L'attacco, in altri casi passato quasi inosservato, ha suscitato clamore perché ha, così si è detto, clamorosamente fallito il bersaglio. All'uomo nero ritratto nel post mancano, infatti, i caratteri che portano ad alimentare o comunque ad accettare lo stigma ad esso generalmente affibbiato: non è povero, non è profugo, non dorme in mezzo a una strada. Insomma, è uno dei nostri, è integrato, è sposato, è valdostano, magari nemmeno mussulmano, ecc. Ma si è trattato davvero di una gaffe? Non certamente per chi ha scattato quella foto, per il quale l'integrazione non è comunque un valore, ma un disvalore. Lo è, forse, per quelli (tanti, troppi) che, abituati a non dire nulla quando ad essere attaccato è un profugo (uomo, si dice uomo) qualunque, scoprono di essere buoni e tolleranti verso chi "nero è nero", ma dimostra di aver imparato le nostre regole (è ben vestito, è educato, porta i figli a messa...). Ma allora, se è così, ha ragione il leghista autore della foto incriminata quando, in un post di poco successivo, scrive che "il razzismo è negli occhi di chi guarda". Negli occhi, cioè, di chi individua nel "nostro stile di vita" la nuova frontiera dello sdegno. Tutto ciò che è riconducibile al dogma della civiltà a cui apparteniamo è meritevole di encomio, compreso l'uomo nero integrato, con la conseguenza che chi lo attacca
è cattivo, razzista. Ma chi quello stile di vita, quel "valore non negoziabile" lo minaccia, con la sua inguardabile e inguaribile miseria, diventa un nemico. Ecco allora che, lungo la frontiera dello sdegno, gli occhi si rivolgono nuovamente a lui, all'uomo nero ("nero-nero" verrebbe da dire), e chi lo attacca quotidianamente, con scientifica pervicacia, torna ad esercitare una "libera manifestazione del pensiero" (sic) che diventa - è (ri)diventata, da almeno venticinque anni a questa parte - "legittima" teoria e pratica politica. Lo scivolo dell'ipocrisia porta dritto dritto all'inumanità. Meglio risalirlo velocemente, allora, attenendosi a quello che, con un'espressione semplice e pregnante, diceva Simone Weil: "C'è obbligo verso ogni essere umano, per il solo fatto che è un essere umano". Indigniamoci, sempre.
Nessun commento:
Posta un commento