martedì 26 luglio 2016

Il senso di Salvini per le istituzioni

Con un tasso di femminicidi che non accenna a diminuire, con la violenza sulle donne in continua escalation, con ricerche che dicono che più del 60% di tweet “negativi”, contro gruppi di persone (migranti, omosessuli, ebrei, disabili, tanto per citarne alcuni) è rivolto contro le donne in quanto tali, Matteo Salvini, che anche se non sembra, rappresenta le istituzioni, durante un comizio offende le stesse, offende la terza carica dello Stato, le donne e il genere umano tutto.
Ciò che viene fuori da quel disgustoso siparietto che nelle intenzioni voleva far ridere è il sessismo più bieco, lurido. Una violenza verbale, un immaginario triviale che fa da sfondo ad una sub-cultura maschilista che viene assolta e si autoassolve. La stessa sub-cultura che nutre i femminicidi.



martedì 19 luglio 2016

COMUNICATO STAMPA SULL'ATTENTATO A NIZZA DELLE FORZE DELLA SINISTRA VALDOSTANA

 



L'Altra Valle d'Aosta, Rifondazione Comunista e Possibile si uniscono al cordoglio e alla condanna delle istituzioni, di tutte le forze democratiche e dei cittadini e delle cittadine valdostane del terribile atto terroristico che ha colpito Nizza e la Francia. Alle famiglie delle vittime e ai feriti va il nostro pensiero, la nostra vicinanza e la nostra solidarietà.
Ci vorrà tempo per capire nel dettaglio cosa è successo, le responsabilità e i contorni di un atto che presenta ancora molti aspetti oscuri. Quello che dobbiamo assumere come una responsabilità politica è che quello che sta succedendo in Europa ha cause e ragioni che non possiamo semplificare con gli slogan della destra contro i migranti, o con la retorica dello scontro di civiltà o di religioni. Le nostre comunità e le nostre istituzioni sono sempre più fragili ed esposte all'azione terroristica e alla strumentalizzazione jihadista e terroristica perché ancora troppo timide e limitate sono le politiche di contrasto alla povertà, al disagio sociale, alle diseguaglianze. Nelle banlieues, le periferie povere  e dimenticate delle nostre società, negli spazi dell’esclusione sociale crescono la follia e la rabbia violenta e, dentro quest’ultima, l’impazzimento individuale e collettivo che trova nel fanatismo religioso o ideologico la propria copertura.
Per questo rigettiamo con forza tutte le letture e le posizioni che vogliono trovare per forza un nemico nell’migrante, nel musulmano, nell’uomo di colore e che propongono ESATTAMENTE quello che vogliono i terroristi: la negazione dei valori democratici, del rispetto per la persona umana e dei diritti civili e umani che sono a fondamento della nostra società. Le posizioni di diversi esponenti di una certa destra e, benché sottotraccia, di molti “benpensanti” che fanno riferimento alle forze autonomiste sono ESATTAMENTE quello che si aspettano le menti che governano il network del terrore che ci sta attaccando. Il loro obiettivo è ESATTAMENTE quello di provocare in Europa la restrizione delle condizioni di libertà e di accoglienza delle quali godono i migranti, di provocare una reazione violenta degli Stati e dei cittadini, di suscitare un'ulteriore inasprimento delle errate politiche di guerra portate avanti dall’occidente dal 2000 ad oggi nel Medio Oriente.
E’ ora di rendersi conto che questa strada è suicida e che occorre, invece,  puntare  a rafforzare l’Europa come presidio di democrazia e di pace nel mondo, risolvere la questione sociale con interventi forti e inclusivi di contrasto alla povertà e immaginare investimenti sempre più consistenti e efficaci sul piano dell’integrazione dei migranti.
Senza questi atti urgenti, anche in Valle d’Aosta, nessuno potrà sentirsi più al sicuro davvero. Nessuno potrà, però, nemmeno chiamarsi fuori e negare che tutti insieme abbiamo la responsabilità di costruire una società più giusta e accogliente.

Per L'AltraValle d'Aosta Carola Carpinello Andrea Padovani 
Per Possibile Chiara Giordano 
Per Rifondazione Comunista Francesco Lucat

venerdì 15 luglio 2016

TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership) – Paolo Ferrero, Elena Mazzoni, Monica di Sisto).


La presentazione di Erik Rosset del libro sul TTIP di lunedì 11 luglio. Leggetela e vi verrà voglia di comprare il libro per saperne ancora di più!



Tutti conosciamo Paolo Ferrero per la sua attività politica; forse non tutti, e se è così è un peccato, lo conosciamo come scrittore, a mio giudizio molto raffinato ed efficace, perché riesce ad affrontare tematiche complesse con un linguaggio accessibile a tutti senza mai banalizzare.
Il suo ultimo libro si intitola “TTIP: L’accordo di libero scambio transatlantico. Quando lo conosci lo eviti”, ed è stato scritto insieme a Elena Mazzoni e Monica di Sisto, due importanti esponenti del coordinamento della campagna italiana StopTTIP.
Lo strumento che Paolo, Elena e Monica ci mettono a disposizione è, anche per la chiarezza espositiva che lo contraddistingue, particolarmente utile, perché ci permette di smascherare l’ennesimo uso strumentale, che si spinge sino alla manipolazione, dei dati e della loro supposta scientificità per legittimare scelte politiche scellerate.
Come sappiamo, i negoziati per l’approvazione del Trattato di libero scambio tra UE e USA (quello che ormai tutti chiamiamo TTIP) sono iniziati, dopo l'accordo politico del giugno 2013, nel luglio dello stesso anno tra il commissario europeo per il commercio e il rappresentante per il commercio dell’Executive Office del Presidente americano. A discutere, in gran segreto, di un tema così importante, sono stati quindi, sin dall’inizio, i rappresentanti degli “esecutivi” di Usa e UE, con il totale esautoramento dei rispettivi organi parlamentari elettivi.
Dei contenuti di questo negoziato si è saputo ben poco, almeno fino a quando la pressione dei gruppi di protesta ha costretto a declassificare alcuni documenti. A maggio di quest’anno, poi, Greenpeace è riuscita ad entrare in possesso di 248 pagine di documenti riservati, che riguardano questioni importantissime come il cibo, i cosmetici, le telecomunicazioni, i pesticidi e l’agricoltura.
Sin dall’inizio dei negoziati (i cosiddetti rounds: oggi siamo arrivati al 13°), le parti hanno tuttavia cercato di convincere i cittadini che ciò che si stava discutendo in gran segreto era diretto a loro esclusivo vantaggio. Sul sito della Commissione europea era possibile leggere, già alla fine del 2013, che “il TTIP è stato progettato per incoraggiare (con la creazione di una vasta area di libero scambio caratterizzata dall’abbattimento delle barriere all’ingresso, n.d.r.) la crescita e la creazione di posti di lavoro” e che grazie ad esso l’economia europea potrebbe aumentare di 120 miliardi l’anno, quella statunitense di 90, quella del resto del mondo di 100.
Si tratterebbe, sempre secondo la Commissione, di due milioni di posti di lavoro in più e di 545 euro in più l’anno per ogni famiglia di quattro persone in Europa, 901 dollari negli a Stati Uniti, con un aumento medio del PIL dello 0,4% in UE e dello 0,5% negli Stati Uniti.
Sono cifre in ordine alle quali, naturalmente, non viene fornita alcuna prova. Al contrario, i negoziatori (la cui legittimazione democratica meriterebbe un discorso a parte) vorrebbero che comprassimo a scatola chiusa, fidandoci delle loro tanto ottimistiche quanto fuorvianti previsioni, tutte basate sul dogma indimostrato e indimostrabile delle magiche virtù della deregolamentazione e del mercato.
Si tratta, in realtà, di una tecnica di marketing che i meno ingenui conoscono bene: la stanno usando, nel nostro paese, anche per giustificare la revisione costituzionale. Anche in quel caso, sono state fatte proiezioni, prive naturalmente di qualsiasi fondamento, sugli effetti economici della riforma in termini di aumento del Pil.
Si tratta, sia per il TTIP sia per la Costituzione, di una strategia di vendita di prodotti che possiamo a buon diritto definire tossici, sia perché non assicurano alcuna prospettiva di benessere sia perché hanno invece effetti negativi (questi sì ampiamente dimostrati dall’applicazione di analoghi trattati come il NAFTA, l’accordo di libero scambio tra Usa, Canada e Messico) su importanti valori costituzionalmente tutelati.
Un unico disegno, insomma, che unisce e tiene insieme le riforme interne (riforma costituzionale, ma anche, per fare un esempio, il jobs act) e quelle esterne, sovranazionali (di cui il TTIP è un tassello importante).
Ce lo spiega bene Paolo Maddalena, ex Presidente della Corte costituzionale, nel recentissimo libro “Gli inganni della finanza” quando ci dice che questo approccio, basato sulla superiorità della cosiddetta lex mercatoria, si disinteressa della tutela dell’ambiente, dei diritti dei lavoratori, dello sviluppo della persona umana e del progresso materiale e spirituale, valori che la vigente Costituzione italiana imporrebbe invece di tutelare.
Lo chiarisce anche Ferrero nelle conclusioni del libro, richiamando le teorie di Von Hayek e degli ordo-liberisti Euken e Herhard. Siamo di fronte all’ennesimo, ma forse mai così virulento tentativo di porre il mercato (e le sue leggi) al disopra delle nostre Costituzioni. Un tentativo che viene portato avanti con una duplice offensiva: sul piano dei trattati bilaterali, si cerca di imporre la regola assoluta del mercato; sul piano interno, si cerca di adattare la parte “organizzativa” della Costituzione a quella stessa regola: governi forti senza contrappesi, pronti a dare esecuzione ai diktat della governance economica globale (una risposta a quanto puntualmente previsto in un report del 2013 dalla Banca J.P.Morgan).
Sembrano, queste, considerazioni quasi ovvie per chi dispone di una sufficiente sensibilità critica e democratica. Il problema è che, anche in democrazia (soprattutto in questa democrazia-simulacro, come la definisce Ferrero), l’evidenza viene spesso oscurata, se non addirittura trasformata nel suo contrario, dalla macchina del consenso, che in entrambi i casi (TTIP e Costituzione) sta lavorando a pieno regime.
Il libro di Ferrero, Mazzoni e Di Sisto ha il merito di fare luce su molti punti oscuri. Le questioni affrontate dagli autori sono tante. Mi limito a citarne quattro, seguendo la traccia del libro.
La prima riguarda il metodo con cui le negoziazioni sul TTIP sono state portate avanti. Qui io vedo soprattutto due problemi: quello legato alla democrazia, che non ammette segretezza nella gestione di questioni così importanti; e quello delle sfere di competenza, poiché, se è vero che l'UE ha, ai sensi del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, competenza esclusiva in materia di “politica commerciale comune”, è altrettanto vero che le materie su cui il TTIP inciderà sono anche materie di competenza dei singoli stati europei (e in particolare delle loro assemblee legislative), il cui coinvolgimento non è stato però previsto (la mera ratifica dei parlamenti nazionali, che Junker ha finalmente riconosciuto la settimana scorsa per il CETA (l’accordo di libero scambio stipulato tra Canada e Unione europea), è importante ma non può essere considerata in questo senso soddisfacente, perché chiama in causa le assemblee legislative a lavoro concluso, per un semplice prendere o lasciare; bene, se questo porterà a far saltare l’accordo (basterà l’opposizione di un solo paese), ma i processi democratici o lo sono sin dall’inizio o finiscono, come probabilmente finirà anche questo, in farsa).
La seconda questione riguarda i contenuti del Trattato, e in particolare i rischi connessi alla “deregolamentazione” che esso prevede in molti settori e che, attraverso l'abbattimento delle barriere tariffarie e non tariffarie di ingresso ai mercati, porterà ad una invasione del mercato europeo da parte delle grandi corporations e ad un abbassamento dei livelli di tutela di importanti diritti costituzionali: e penso soprattutto al diritto alla salute, alla tutela dell’ambiente e al diritto al lavoro.
La terza questione, importantissima, riguarda i cosiddetti tribunali arbitrali internazionali, che costituiscono il vero motore di questo trattato, perché ne rendono sostanzialmente cogenti i principi. Si tratta di un sistema (non nuovo, purtroppo) di risoluzione delle controversie tra investitori e Stato, che si colloca al di sopra delle giurisdizioni nazionali e che consente ai primi, cioè agli investitori, di fare causa a quegli Stati che - in nome di valori come la salute, l'ambiente e il lavoro - introducano limiti al principio della libertà assoluta del commercio.
Si tratta di un sistema già previsto in altri trattati che ha consentito, ad esempio, alla Vattenfall (multinazionale svedese) di fare causa alla Germania (nell’ambito del trattato internazionale sull’energia) a seguito della decisione tedesca di accelerare il processo di dismissione dell’energia nucleare. Richiesta di risarcimento: 5 miliardi di euro! Lo stesso sistema ha consentito alla Philip Morris di fare causa all’Australia a seguito dell’aumento degli avvertimenti sanitari sui pacchetti di sigarette e delle relative conseguenze sulla visualizzazione del marchio. Ecco, il TTIP determinerebbe un aumento esponenziale di cause di questo tipo contro gli stati europei (compreso il nostro) che dovessero mantenere o reintrodurre misure volte a limitare il principio della massimizzazione dei profitti. Di fronte al rischio di subire condanne a risarcimenti miliardari, difficilmente gli Stati oseranno sfidare le multinazionali su questo terreno. L’effetto deterrente sarebbe assicurato.
Bisogna peraltro considerare che questi tribunali - se si dovesse seguire il modello previsto anche dal CETA - sarebbero composti da avvocati nominati dalle parti, senza nessuna garanzia di indipendenza (un dato significativo: 15 di questi avvocati – esperti di investimenti internazionali - si sono divisi il 55% delle cause finora trattate). Con più di una ragione la prof.ssa Algostino, docente di diritto costituzionale all’Università di Torino, ha parlato, approfondendo il funzionamento di questi tribunali, di un sistema di giustizia oligarchica per l’oligarchia economica. Pezzi enormi di sovranità popolare che si spostano verso l'alto, insomma.
E c’è, infine, la lettura del contesto in cui va inserito questo trattato.
Paolo Ferrero parla nel libro di una rivoluzione conservatrice che viene da lontano: in estrema sintesi, dalla svolta di politica economica degli anni 70, da quando cioè con la disdetta unilaterale degli accordi di Bretton Wood, gli USA hanno iniziato a disegnare un nuovo modello di sviluppo.
Altrettanto importante è la questione geopolitica, che si gioca con questo e con altri trattati: oltre al CETA e al TTIP, c’è il TPP, trattato analogo al TTIP stipulato con paesi dell'area pacifica e asiatica; ma anche, non dimentichiamolo, il TISA, che è un accordo sui servizi in corso di negoziazione tra 23 membri aderenti all'OMC. Con questi trattati, gli Stati Uniti vogliono costituire aree politicamente affini da contrapporre alla Cina, alla Russia e più in generale ai paesi BRICS, con un riposizionamento per blocchi contrapposti che potrebbe avere ripercussioni anche militari.
Su questo progetto incide, e bisognerà capire come, la Brexit. Con l'uscita dei britannici dall'Unione europea - ma non anche, ricordiamolo, dalla cosiddetta Anglosfera (USA, Canada, Gran Bretagna, Australia e Nuova Zelanda, che continua ad avere un peso geopolitico enorme -, gli Usa perdono il principale sponsor europeo a favore del TTIP. La Francia, con Hollande in grave crisi di leadership, sembra essersi tirata indietro; l'Italia no: con il ministro Calenda, il nostro paese sembra addirittura candidarsi a sostituire i britannici nel ruolo di fidato alleato degli USA nella strategia che dovrebbe portare alla sottoscrizione dell'accordo prima della fine del mandato di Obama.

Conclusioni.
IL TTIP, soprattutto per effetto della Brexit, potrebbe fallire. Ciò non significa che chi ha provato ad imporcelo non ci riproverà, nei prossimi anni. Dobbiamo, perciò, rimanere vigili.
Viene spesso citata, per rappresentare l’ingiustizia insita in questo modello di sviluppo, cui sono funzionali gli accordi di libero scambio come il TTIP, la parabola zoologica di Keynes. Le giraffe dal collo lungo che accaparrandosi le foglie migliori, quelle poste alla sommità degli alberi, lasciano morire le giraffe dal collo corto. Mai questa parabola fu più attuale. Le corporations continuano ad allungare il collo e a mietere vittime.
Ma l’egoistica ingordigia delle giraffe dal collo lungo ha altre conseguenze.
Viene in mente, a questo proposito, il grandioso e minaccioso apologo dell’Isola di Pasqua. Come ci spiegano gli studiosi, l’isola polinesiana era una terra fiorente, ricca di foreste e cibo, dove vivevano migliaia di persone. Ma quando nel 1722 arrivarono gli europei, trovarono una terra desolata, completamente deforestata, dove sopravvivevano pochissime persone.
Cos’era successo? Era successo che la lotta tra i clan che popolavano l’isola venne col tempo ad essere scandita da una pratica tanto curiosa quanto, alla lunga, rovinosa. Questa pratica era legata all’edificazione delle famose teste di pietra, i monoliti che ancora oggi rendono celebre l’isola. Questi monoliti erano, secondo gli studiosi, simboli di potere, edificati per celebrare le vittorie negli scontri tra clan. Ogni nuova testa doveva essere più grande di quella precedente per simboleggiare la forza di chi, via via, imponeva il suo potere sull’isola. Senonché, per scalpellarle nelle cave, per trasportarle all’esterno e issarle occorrevano tronchi d’albero d’alto fusto e fibre legnose per fabbricare funi. Alla fine, a forza di tagliare alberi, l’isola su desertificata. Poi, nella generale guerra di tutti contro tutti, anche le teste di pietra andarono in gran parte distrutte. I sopravvissuti pensarono ad una via di fuga dall’inferno che essi stessi avevano creato con le proprie mani. Ma il legno per costruire le barche che avrebbero costituito la loro salvezza era orma finito.
Cosa c’entrano questa parabola e questo apologo con il TTIP? C’entrano, perché ci permettono di ricordare due cose. La prima: che dobbiamo stare sempre dalla parte delle giraffe dal collo corto. La seconda: che dobbiamo lottare con tutte le nostre forze affinché il mondo in cui viviamo non diventi una immensa isola di Pasqua.
Opporsi al TTIP fa parte di questa lotta.


giovedì 7 luglio 2016

Io vedo che, quando allargo le braccia, i muri cadono. Accoglienza vuol dire costruire dei ponti e non dei muri. (Don Andrea Gallo)


Nella giornata del lutto per la tragedia di Fermo, dello svelamento della barbarie, la lega nord si scaglia contro un'iniziativa lodevole di incontro e scambio tra religioni e culture voluta dalla parrocchia dell'Immacolata e dall'associazione Baobab in occasione della fine del Ramadan. Ancora una vile operazione di sciacallaggio che riteniamo ormai di vera istigazione alla discriminazione e alla violenza. Come pure si leggono articoli su giornali on line che, oltre a dare ampio e ingiustificato spazio ad ogni spregevole iniziativa della lega, offrono del giornalismo un esempio sconfortante e inqualificabile. Esprimiamo alla comunità musulmana in festa la nostra solidarietà. Un modo per noi, anche, per ricordare al di là di qualsiasi differenza di credo religioso e colore della pelle Emmanuel Chidi Namdi e i morti degli attentati a Dakka e a Bagdad. Per noi vengono sempre prima le persone.